Luigi Bini
Perché e come ho iniziato a fotografare:
fotografo perché mi è sempre piaciuto pensare di poter incorniciare attimi di vita;
da piccolo assieme a mio padre capitai ad una mostra di un pittore che immortalava nei suoi quadri scene di mare come ad esempio un ombrellone al tramonto, pattini e cabine, ecc.; ne rimasi affascinato dai colori iniziando così a fare pose che ritraevano questi momenti
Riconoscimenti ottenuti nel campo della fotografia:
Dal 1990 sporadiche pubblicazioni di foto su giornali quotidiani su contenuti a carattere locale come Carnevale di Santa Croce sull’Arno, Raduni di Autostoriche, alcune foto subacquee stampate ed esposte per Club Nautico locale
2003: pubblicazione di alcune foto su fotolibro ritraente Raduno Ferrari nelle Ville Lucchesi
2013: partecipazione a 3 Concorsi con 3 riconoscimenti di Foto Segnalata;
2015: vincitore del Concorso Foto Estate 2015 organizzato nel Comune di Santa Croce sull’Arno;
2019: Concorso ASFA San Marino Premio Giuria;
Concorso Fotosub Associazione Subriccione 2 foto ammesse alla finale di cui una classificata sesta
Partecipazione a Concorso organizzato da AVIS Ponsacco in attesa di giudizio
Titolo del lavoro presentato:
LA FOLLIA D’ARAL
Descrizione del lavoro presentato:
La Follia d’Aral
09 Agosto 2019: il sole fa capolino, i colori freddi della notte si addolciscono verso sfumature tenui.
Il nero stellato lascia il posto man mano al rosa poi ad un blu più intenso.
La sabbia del deserto si colora d’arancio e giallo.
Da est si alza una leggera brezza che porta con sé profumi, odori esotici.
Nasce un nuovo giorno su uno dei più efferati scempi perpetrati contro la natura: la scomparsa di un mare, il Mare di Aral.
Posizionato storicamente al confine tra Uzbekistan e Kazakistan, Aral era uno specchio d’acqua così grande che era chiamato con l’appellativo di Mare.
Uno spettacolo della natura, un habitat per moltissime specie di flora e fauna, nido di biodiversità, risorsa economica per l’uomo che poteva dedicarsi sia alla pesca sia al lavoro di preparazione e conservazione del pesce.
Una scriteriata e ottusa politica innestata dal vecchio regime sovietico, volta a sostenere e sviluppare al massimo livello la coltura del cotone in una zona così arida, portò alla deviazione del corso di due fiumi che si immettevano nel lago tramite l'uso di canali, al fine di prelevare montagne di acqua volte all’irrigazione delle neonate colture.
Fu l’inizio di una progressiva e completa scomparsa delle acque.
In più l’uso indiscriminato di pesticidi e diserbanti finì per inquinare irrimediabilmente il terreno circostante, tant’è che ancora oggi, dopo oltre 50 anni, polveri inquinanti vengono sparpagliate ovunque dalle frequenti tempeste di sabbia, fino ai lontani ghiacciai dell'Himalaya.
Arrivai nella cittadina di Moynaq quando ancora era notte, aspettai le prime luci dell’alba per cominciare a scattare.
Mi ero documentato, avevo visionato immagini, ma questo non fu in nessun modo sufficiente a non farmi emozionare difronte a questo indegno spettacolo.
La scelta tecnica di produrre foto in bianco e nero, è il personale modo di esprimere la struggente drammaticità, lo sdegno che in ogni momento di ogni scatto provai; secondo me una cosa che non ha colore non ha vita.
Immortalare i resti di quelle che furono imbarcazioni, contornate in modo scomposto da piccoli ceppi di piante spinose, ruvide, dure, posate su di un terreno arido, sabbioso mette in evidenza l’esatto contrario dello stereotipo imbarcazione=acqua=fonte di vita=colori accesi=sorriso.
Strumenti di lavoro che in tempo lontano furono forieri di benessere economico-sociale, il suolo che in origine era il fondale di un mare, gli scricchiolii del metallo ormai irrimediabilmente irrecuperabile, conchiglie ridotte in fossili, mi ponevano, io essere vivente, in un cimitero senza croci.
Quando ormai il sole fu alto mi si avvicinarono curiose due persone: erano nonno e nipote che passeggiavano.
Fermatesi vicino a me capii subito che volevano sapere cosa caspita facessi lì: il nipote, a modo suo, si fece interprete del nonno che affermò il suo dolore più grosso: la perdita della sua dignità, la perdita della dignità di una comunità dedita in un lontano passato ad un lavoro duro ma onesto, che per vergogna di aver perso tutto, si inventò le bugie più banali fino alla negazione dell’evidenza.
Lo sguardo dimesso si abbassò, la mano si alzò in segno di un mesto cordiale saluto.
Messomi in disparte seduto in quell’assordante silenzio, rotto solo dal cinghuettio di ignari volatili, seguendo con lo sguardo l’incedere del vecchio insicuro e zoppicante, pensai a lungo senza trovare alcun(per)chè.
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